L’enigma
di
calle
Arcos
di
Sauli
Lostal
esce
per
la
prima
volta
a
puntate
e
illustrato
da
Pedro
Rojas
sul
popolare
quotidiano
argentino
“Crítica”
a
partire
dal
30 ottobre
1932 e
fino
al
dicembre
di
quello
stesso
anno.
Nel
1933 la
casa
editrice
AM-BASS
di
Buenos
Aires
lo
pubblica
in
volume
presentandolo
come
“il
primo
grande
romanzo
poliziesco
argentino”;
infine,
è
del
1996 l’edizione
per
i
tipi
bonaerensi
di
Simurg,
su
cui
si
basa
la
presente
italiana.
Questa,
in
sintesi,
la
storia
editoriale
del
libro.
Ma
chi
è
Sauli
Lostal?
È
questo
il
vero
enigma
non
ancora
risolto
dalla
critica
a
cui
fanno
da
sfondo
le
affermazioni
di
Enrique
Anderson
Imbert,
il
quale,
nel
1962, in
un
articolo
dedicato
alle
fonti
di
Jorge
Luis
Borges,
a
proposito
di
La
ricerca
di
Almotasim
(comparso
nel
1936 in
Storia
dell’eternità
e
poi
incluso
in
Finzioni)
dice
che
Borges
doveva
senz’altro
conoscere
L’enigma
di
calle
Arcos.
Scrive
Anderson
Imbert:
In
La
ricerca
di
Almotasim
[…] Borges
simula
la
recensione
di
un
libro
che,
con
quello
stesso
titolo,
sarebbe
uscito
a
Bombay
alla
fine
del
1932: “La
carta
era
quasi
di
giornale;
la
copertina
annunciava
all’acquirente
che
si
trattava
del
primo
romanzo
poliziesco
scritto
da
un
nativo
di
Bombay
City.”
È
nota
l’abitudine
di
Borges
di
nascondere
la
realtà
argentina
dietro
remote
geografie
[…] C’è
da
chiedersi,
quindi,
se
parlando
del
primo
romanzo
poliziesco
scritto
da
un
nativo
di
Bombay
City
non
stesse
alludendo
ad
un
libro
che
aveva
appena
reclamato
l’onore
di
inaugurare
il
genere
poliziesco
a
Buenos
Aires.
Di
getto,
quella
descrizione
di
un
apocrifo
romanzo
di
Bombay
corrisponde
esattamente
a
quella
di
L’enigma
di
calle
Arcos
di
Sauli
Lostal
[…]. La
carta
è
quasi
di
giornale;
e
sulla
copertina,
sotto
autore
e
titolo,
si
annuncia
“Primo
grande
romanzo
poliziesco
argentino.”
Borges
doveva
conoscerlo.1
L’affermazione
di
Anderson
Imbert
appare
abbastanza
scontata.
Ovviamente
Borges
doveva
conoscere
L’enigma
di
calle
Arcos
visto
che
di
“Crítica”
dal
12 agosto
1933 e
fino
al
6 ottobre
1934 aveva
diretto
con
Ulyses
Petit
de
Murat
il
supplemento
letterario
“Revista
Multicolor
de
los
Sábados”.
Ma
è
stata
soprattutto
l’ultima
edizione
argentina
del
romanzo
a
portare
in
primo
piano
l’ipotesi
che
Borges
possa
esserne
l’autore
proprio
a
partire
dal
frequente
uso
di
pseudonimi
da
parte
dei
due
condirettori
nei
testi
pubblicati
nel
supplemento
e
da
alcune
dichiarazioni
attribuite
a
Petit
de
Murat.
Questi,
secondo
quanto
riporta
lo
scrittore
e
giornalista
Juan
Jacobo
Bajarlía
nell’articolo
La
enigmática
novela
de
Borges,
pubblicato
su
“La
Nación”
il
13 luglio
1997 (e
successivamente
ripreso
il
19 luglio
dal
giornale
online
“El
Tiempo”)
durante
alcune
conversazioni
tenutesi
negli
anni
’60 presso
la
redazione
del
giornale
“Clarín”,
avrebbe
detto
che
il
romanzo
era
stato
scritto
da
Borges
per
esercitarsi
con
il
genere
poliziesco.
Borges,
secondo
Petit
de
Murat,
dedicava
a
questo
lavoro
due
ore
al
giorno,
utilizzando
la
macchina
da
scrivere
per
velocizzarlo
perché
Natalio
Botana
(storico
direttore
di
“Crítica”)
esigeva
rapidità.
Scomparso
Petit
de
Murat
nel
1983, e
certo
non
in
grado
di
confermare
o
smentire
tali
dichiarazioni,
comunque
Bajarlía
adduce
altre
prove
a
sostegno
della
sua
tesi.
In
primo
luogo
perlustra
l’albero
genealogico
di
Borges
ricordando
tre
figure:
Francisco
Narciso
de
Laprida
(Presidente
del
Parlamento
della
Nazione
che
il
9 luglio
1816 proclamò
a
Tucumán
la
prima
indipendenza
dalla
Spagna),
citato
da
Borges
nel
Poema
congetturale;
Manuel
Isidoro
Suárez,
per
Bajarlía
bisnonno
della
madre
di
Borges
(in
realtà
nonno)
che
guidò
la
vittoriosa
battaglia
di
Junín
il
6 agosto
1824; e,
infine,
Francisco
Borges,
nonno
paterno
dello
scrittore,
morto
nella
battaglia
di
La
Verde
il
28 novembre
1874 e
ricordato
da
Borges
nel
racconto
Storia
del
guerriero
e
della
prigioniera.
Ebbene,
secondo
Bajarlía
il
protagonista
del
romanzo,
Horacio
Suárez
Lerma,
evocherebbe
nel
cognome
gli
avi
dell’autore,
ovvero
Manuel
Isidoro
Suárez
(e
B.
Suárez
Lynch
è
anche
lo
pseudonimo
adottato
da
Borges
e
da
Adolfo
Bioy
Casares
per
pubblicare,
nel
1946, Un
modello
per
la
morte)
e
Francisco
Narciso
Laprida,
modificato
in
Lerma
per
la
sua
fama.
Anche
questa
tesi
è
piuttosto
ardita.
In
secondo
luogo,
Bajarlía
ricorda
come
nel
prologo
alla
prima
edizione
in
volume
del
romanzo,
Luis
F.
Diéguez
afferma
che
l’autore
è
uno
scrittore
legato
a
“Crítica”
(in
realtà
Diéguez
dice
testualmente:
“L’enigma
di
calle
Arcos
è
l’opera
di
uno
scrittore
in
condizioni
essenzialmente
giornalistiche”).
Infine,
segnala
come
Borges
in
vita
abbia
rinnegato
diverse
sue
opere,
come
Inquisizioni
(1925), La
misura
della
mia
speranza
(1926) e
La
lingua
degli
argentini
(1928). Il
non
aver
rinnegato
anche
L’enigma
di
calle
Arcos
si
deve
al
fatto
che
comunque
il
romanzo
non
era
uscito
a
suo
nome.
Inutile
ricordarlo,
secondo
Bajarlía.
Il
17 agosto
1997, sempre
su
“La
Nación”,
lo
scrittore
e
critico
letterario
Fernando
Sorrentino,
in
Impertinencias
e
imposibilidades,2
risponde
alle
tesi
di
Bajarlía.
Retoricamente,
Sorrentino
si
domanda:
perché
Borges
avrebbe
dovuto
esercitarsi
nella
forma
del
romanzo,
genere
che
non
avrebbe
mai
praticato?
E
perché
avrebbe
dovuto
farlo
con
la
macchina
da
scrivere,
mezzo
che
non
ha
mai
saputo
usare?
Sorrentino
cita
un’affermazione
di
Borges:
“Non
ho
mai
pensato
di
scrivere
romanzi.
Credo
che,
se
cominciassi
a
scriverne
uno,
mi
renderei
subito
conto
che
si
tratta
di
una
stupidaggine
e
non
lo
porterei
a
termine.”
3
Inoltre,
secondo
Miguel
de
Torres,
nipote
di
Borges,
questi
scriveva
sempre
a
mano,
lentamente,
in
casa
e
nell’assoluto
silenzio,
e
non
sapeva
neanche
infilare
il
foglio
nella
macchina
da
scrivere.
Ma
non
sono
queste
le
ragioni
principali
che
smentiscono
Bajarlía.
Il
punto
fondamentale
è
lo
stile
di
L’enigma
di
calle
Arcos
che
non
corrisponde
in
nulla
a
quello
di
Borges.
Scrive
Sorrentino:
Credo
che
nessuno
può
scrivere
totalmente
in
uno
stile
a
lui
estraneo:
anche
chi
si
proponga
la
più
impertinente
parodia,
finisce,
prima
o
poi,
per
far
intravedere
il
proprio
stile
nei
paragrafi
che
sta
elaborando.
Ricordiamo
che,
nei
pochi
casi
in
cui
Borges
si
è
cimentato
in
testi
parodici
(alcuni
testi
di
Storia
universale
dell’infamia
o
nei
versi
e
nel
modo
di
parlare
ridicolo
di
Carlos
Argentino
Daneri,
in
L’Aleph),
sempre,
dietro
la
sua
scrittura
burlesca,
appaiono
la
sfavillante
intelligenza,
la
sottigliezza,
la
delicata
sfumatura
e
le
tante
virtù
che
riconosciamo
allo
stile
borgesiano.
Ma,
allora,
chi
è
l’autore
di
L’enigma
di
calle
Arcos?
Per
Sorrentino
la
soluzione
sta
in
una
lettera
di
Tomás
E.
Giordano
pubblicata
sul
quotidiano
“Clarín”
il
27 febbraio
1997. Eccola:
Nella
sezione
“Libri
raccomandati”
del
13 febbraio
scorso
di
questo
prestigioso
giornale,
vedo
annunciato
L’enigma
di
calle
Arcos
come
primo
romanzo
poliziesco
argentino.
Poiché
si
dice
anche
che
l’autore
continua
a
essere
sconosciuto,
voglio
dare
un’informazione
al
riguardo.
Sauli
Lostal
è
Luis
Stallo
a
l’anvers
[in
realtà
si
tratta
di
un
anagramma]
ed
è
lo
pseudonimo
adottato
dall’autore
per
firmarlo.
Ho
avuto occasione di conoscerlo attraverso mio padre, con il quale
mantenne alcuni rapporti commerciali. Non si trattava di un uomo di
lettere, bensì dedito agli affari.
Gentiluomo
italico
e
dotato
di
un’apprezzabile
cultura,
si
era
radicato
nel
nostro
paese
dopo
una
serie
di
viaggi
per
il
mondo.
Il
suo
spirito
inquieto,
sostenuto
da
una
irrinunciabile
passione
per
la
lettura,
lo
aveva
indotto
a
partecipare,
nel
1933, a
un
concorso
letterario
promosso
dal
popolare
giornale
della
sera
di
allora,
“Crítica”,
che
proponeva
ai
suoi
lettori
di
trovare
uno
scioglimento
più
ingegnoso
per
Il
mistero
della
camera
gialla,
di
Gaston
Leroux,
giacché,
secondo
l’opinione
del
giornale,
il
finale
del
romanzo
era
una
po’
deludente.
Stallo
vinse con il romanzo sopra citato che venne così pubblicato, visto
che in ciò stava il premio. Che abbia avuto il merito di essere
citato da Borges, testimonia che il premio era stato ben assegnato.
Questa
lettera
(si
riferisce
a
quella
di
Tomás
E.
Giordano)
e
una
conversazione
telefonica
con
il
suo
autore
hanno
spazzato
via
qualunque
dubbio
sulla
veridicità
dei
fatti.
Inoltre,
sono
stati
consultati
gli
elenchi
del
telefono
di
quegli
anni
– 1928, 1930, 1931 e
1932 – che
attestano
l’esistenza
di
Luis
A.
Stallo,
domiciliato
in
diverse
vie
di
Buenos
Aires
(Cerrito
551, Victoria
1994 e
Uruguay
34).4
Ma
Bajarlía
mantiene
viva
la
discussione
con
una
controreplica,
La
novela
que
Borges
sí
escribió,
pubblicata
sempre
su
“La
Nación”
il
26 ottobre
1997. “Crítica”
non
ha
mai
lanciato
un
concorso
letterario
per
modificare
il
finale
di
Il
mistero
della
camera
gialla,
scrive
Bajarlía
e
la
prima
edizione
del
romanzo
è
pubblicata
in
appendice
nel
1932 e
non
in
volume
nel
1933. Inoltre,
non
c’è
alcun
collegamento
fra
il
“gentiluomo
italico”
indicato
da
Giordano
e
l’autore
a
cui
si
rivolge
Diéguez
nel
prologo
all’edizione
del
1933 di
L’enigma
di
calle
Arcos.
Un
emigrante,
quale
sarebbe
Luis
A.
Stallo,
non
avrebbe
potuto
conoscere
così
bene
il
linguaggio
portegno
e
poi
è
sicuramente
un
giornalista,
come
afferma
sempre
Diéguez
quando
scrive:
“Lei
è
un
giornalista
che
scrive
romanzi
polizieschi
veramente
sorprendenti”.
Infine,
il
fatto
che
il
nome
di
Luis
A.
Stallo
compaia
sugli
elenchi
del
telefono
di
quegli
anni
non
chiarisce
nulla.
Chiunque
avrebbe
potuto
usare
quel
nome
anagrammandolo
in
Sauli
Lostal,
rispondendo
anche
al
gusto
giocoso
dell’epoca
di
usare
pseudonimi
prendendoli
pure
da
persone
reali
come
quell’Ernesto
Pissavini
che
Borges
e
Casares
indicano
nel
1936 come
segretario
di
redazione
della
rivista
“Destiempo”,
mentre
invece
si
trattava
del
portiere
dell’edificio
dove
viveva
Casares.
Così
come
lo
stesso
quotidiano
“Crítica”
prima
de
L’enigma
di
calle
Arcos
aveva
pubblicato
un
altro
romanzo
giallo,
Los
cortadores
de
manos,
firmato
da
Jaime
Mellors,
dietro
il
quale
si
nascondevano
ben
quattro
autori:
Ulyses
Petit
de
Murat,
Ricardo
M.
Setaro
e
i
fratelli
Raúl
ed
Enrique
González
Tuñón.
E,
come
si
è
già
detto
e
Bajarlía
torna
a
ribadirlo,
Petit
de
Murat
e
Borges
utilizzavano
vari
pseudonimi
per
i
testi
pubblicati
sulla
“Revista
Multicolor
de
los
Sábados”.
Comunque,
il
riferimento
a
Il
mistero
della
camera
gialla
nella
lettera
di
Giordano
offre
a
Bajarlía
l’occasione
per
ulteriori
conferme
alla
sua
tesi
[...]
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