Nota preliminare
La lettura dei più noti
romanzi polizieschi ha creato il pregiudizio, quasi generale, secondo
cui sarebbe impossibile scrivere un’opera appartenente a questo
genere che sia emozionante, dalla trama accattivante, impenetrabile e
misteriosa, senza ricorrere ad elementi truculenti, inverosimili,
fantasmagorici e in lotta con ogni tipo di logica. Dedico questa
umile opera a quanti condividono tale pregiudizio.
Sauli Lostal
I
La camera macabra
Horacio Suárez Lerma
entrò nel commissariato del quartiere Belgrano pochi minuti dopo la
mezzanotte. Era intenzionato a parlare con l’ufficiale Oscar Lara
perché gli occorrevano alcuni dati che riteneva indispensabili per
l’ampio articolo di cronaca nera che si proponeva di pubblicare
quello stesso giorno su "Ahora", possibilmente nella quinta
edizione.
Da quasi cinque mesi il
giovane giornalista – grazie appunto all’efficace intervento del
suo caro amico Oscar Lara, che lo aveva raccomandato a una persona
vicina al direttore di "Ahora" – era responsabile della
sezione di cronaca nera di tale prestigioso giornale vespertino.
E gli renderemo giustizia
cominciando con il dichiarare che in quei cinque mesi e nonostante la
sua giovane età – Suárez Lerma era un ragazzo di circa
ventiquattro anni – aveva dimostrato una lodevole perizia, molto
tatto, coraggio e, soprattutto, entusiasmo e molta decisione nello
svolgimento della sua attività.
Entusiasmo e decisione!
Miracolose scaturigini di opere insospettate, elevate, supreme…! Ma
non divaghiamo, non allontaniamoci dal nostro racconto.
Era la notte tra il 2 e
il 3 agosto. Faceva un freddo acuto e tagliente, insolito, mai
sperimentato negli ultimi venti inverni bonaerensi. Soffiava
furiosamente, da sud verso nord, un vento glaciale che aumentava
l’inclemenza di quella crudissima notte.
Suárez Lerma detestava
l’ostentazione. La sua naturale modestia l’aveva sicuramente
obbligato a parcheggiare l’automobile una trentina di metri prima
del commissariato e allora… Ma, no, è opportuno dare alcune
spiegazioni.
È necessario informare i
nostri lettori che l’auto del giovane giornalista era qualcosa di
molto simile – ci si perdoni il paragone – a quel magro e smunto
ronzino dell’altero cavaliere della Mancha… Ve ne ricordate?
Ebbene, il mezzo di locomozione del nostro eroe – perché è ormai
tempo di dire ai nostri lettori che questo ragazzo, buono e allegro,
è colui che dovrà impersonare il ruolo di protagonista di tale
storico episodio – era un’auto piccoletta, una vera battola con
volante, la cui carrozzeria, essenziale ed estiva, si valeva di
un’efficace e complicata rete di fili di ferro e corde che
simulavano – qui e là – asimmetriche ragnatele, ma era
vistosamente in guerra con tessuto, tela cerata e finestrini di
celluloide.
Per
il resto... non c’erano problemi. Un motore che... Insomma, meglio
lasciar perdere… Tuttavia, Horacio sapeva maneggiare a menadito
quell’esotico veicolo, che lui, con non dissimulato orgoglio,
chiamava "il suo puledro".
Per
modestia o per chissà quale altra causa, il nostro uomo aveva
lasciato quel ciarpame semovente poco prima della meta. Scese,
camminò alcuni metri ed entrò nel commissariato maledicendo tra i
denti l’inverno in generale e quell’insopportabile notte
dantesca. Aprì la porta di una specie di vestibolo ed entrò
nell’ufficio del funzionario di guardia, come se fosse a casa sua.
Lì
si trovava il suo amico Lara – che era montato a mezzanotte – con
un giovane dattilografo, entrambi in ameni conversari, accanto a una
confortevole stufa che dava all’ambiente un gradevole tepore.
“Buona
notte, ragazzi!” vociò Suárez Lerma, togliendosi il cappotto.
“Che notte! Che vento! Che freddo! Brrr...! Ti taglia a fette!
E voi? Vili rosicchiatori di stipendio, invece di lavorare...”
“Ciao
giornalaio...!” lo ricambiò Oscar Lara stringendogli la mano.
“Cosa
racconti, vilissimo strillone? Come ti va?” esclamò il
dattilografo, anche lui grande amico del giornalista.
“Dico,
signor sguattero di commissariato, che sono più rattrappito del
pennone di una nave... mi sente? E che se non mi fa servire
immediatamente qualcosa di ben caldo la faccio espellere dal commissariato come una vecchia cianfrusaglia.”
“Continua
pure a fare il galletto” commentò l’interpellato “e vedrei se
non ti metto al fresco...”
“Senta
lei, minuscolo progetto di ufficialucolo di polizia” lo interruppe
il nuovo arrivato con eccessiva boria, “non si scordi, povero
passacarte che sta parlando con il caporedattore della pagina di
cronaca nera del miglior giornale del mondo...”
I coloriti rimbrotti minacciavano di andare per le lunghe. L’ufficiale
Lara decise di mettervi fine e chiamò un caporale. Questi si
presentò immediatamente facendo il saluto militare.
“Agli
ordini” disse.
“Caporale
Madariaga” sentenziò l’altro indicando il giornalista. “Vede
questo giovane?”
“Sissignore.”
“Bene.
Gli faccia servire immediatamente un mate ben caldo.”
Il
sottoposto uscì all’istante e andò a mettere in pratica
personalmente l’ordine ricevuto. Suárez Lerma ne approfittò per affermare:
“Così
mi piace. È bene che entrambi capiate ciò che vi corrisponde; ma
dal momento che sono solito pagare i miei lacché... Servitevi!”
E
con un gesto autoritario che gli avrebbe invidiato lo stesso Luigi XV
di Francia, offrì loro due raffinati sigari, vero tabacco cubano.
I
due sorpresi destinatari accettarono i sigari sfregandosi gli occhi e
guardandosi sbalorditi. Poi, constatata l’autenticità del
prodotto, ripagarono il potente elargitore con varie riverenze e
segni di inconfondibile considerazione e rispetto.
Poco
dopo, però, il dattilografo si diede una manata sulla fronte e
avvicinandosi al giovane giornalista gli disse:
“Ehi,
ma sei una forza! Sicuro che hai appiccicato la tua auto a qualche
disgraziato e per pagamento gli hai spremuto queste due meraviglie
cubane! Non è vero? Complimenti, hai fatto un affarone!”
Tuttavia,
intraprese subito una prudente ritirata perché sapeva benissimo che
Horacio non ammetteva scherzi sul “suo puledro”.
Poco
dopo, nella stanza attigua a quella dell’ufficiale di guardia,
Oscar Lara e Suárez Lerma –quest’ultimo ancora intento ad
assaporare il suo mate – stavano conversando della questione che,
in una notte così ingrata, aveva condotto lì il cronista. Avevano
appena terminato quando si sentì il trillo del telefono. L’ufficiale
Lara si avvicinò all’apparecchio, sollevò la cornetta, se la
portò all’orecchio e tra il funzionario di polizia e la persona
che aveva chiamato ebbe iniziò il seguente dialogo, successivamente
ricostruito dagli stessi interlocutori:
“Commissariato
di Belgrano?”
“Sì,
signore.”
“Con
chi parlo?”
“Con
l’ufficiale di guardia.”
“Bene,
signore, ascolti: sono Juan Carlos Galván, le parlo dal mio
domicilio, calle Arcos, all’angolo con Tierra... È per
informarla che qui, a casa mia, sta succedendo qualcosa di serio...
di molto grave... forse una disgrazia, insomma... non saprei.”
[...]
Continua
Continua
Nessun commento:
Posta un commento