venerdì 8 novembre 2013

Le prime pagine del libro


Nota preliminare

La lettura dei più noti romanzi polizieschi ha creato il pregiudizio, quasi generale, secondo cui sarebbe impossibile scrivere un’opera appartenente a questo genere che sia emozionante, dalla trama accattivante, impenetrabile e misteriosa, senza ricorrere ad elementi truculenti, inverosimili, fantasmagorici e in lotta con ogni tipo di logica. Dedico questa umile opera a quanti condividono tale pregiudizio.

Sauli Lostal


I
La camera macabra


Horacio Suárez Lerma entrò nel commissariato del quartiere Belgrano pochi minuti dopo la mezzanotte. Era intenzionato a parlare con l’ufficiale Oscar Lara perché gli occorrevano alcuni dati che riteneva indispensabili per l’ampio articolo di cronaca nera che si proponeva di pubblicare quello stesso giorno su "Ahora", possibilmente nella quinta edizione.
Da quasi cinque mesi il giovane giornalista – grazie appunto all’efficace intervento del suo caro amico Oscar Lara, che lo aveva raccomandato a una persona vicina al direttore di "Ahora"era responsabile della sezione di cronaca nera di tale prestigioso giornale vespertino.
E gli renderemo giustizia cominciando con il dichiarare che in quei cinque mesi e nonostante la sua giovane età – Suárez Lerma era un ragazzo di circa ventiquattro anni – aveva dimostrato una lodevole perizia, molto tatto, coraggio e, soprattutto, entusiasmo e molta decisione nello svolgimento della sua attività.
Entusiasmo e decisione! Miracolose scaturigini di opere insospettate, elevate, supreme…! Ma non divaghiamo, non allontaniamoci dal nostro racconto.
Era la notte tra il 2 e il 3 agosto. Faceva un freddo acuto e tagliente, insolito, mai sperimentato negli ultimi venti inverni bonaerensi. Soffiava furiosamente, da sud verso nord, un vento glaciale che aumentava l’inclemenza di quella crudissima notte.
Suárez Lerma detestava l’ostentazione. La sua naturale modestia l’aveva sicuramente obbligato a parcheggiare l’automobile una trentina di metri prima del commissariato e allora… Ma, no, è opportuno dare alcune spiegazioni.
È necessario informare i nostri lettori che l’auto del giovane giornalista era qualcosa di molto simile – ci si perdoni il paragone – a quel magro e smunto ronzino dell’altero cavaliere della Mancha… Ve ne ricordate? Ebbene, il mezzo di locomozione del nostro eroe – perché è ormai tempo di dire ai nostri lettori che questo ragazzo, buono e allegro, è colui che dovrà impersonare il ruolo di protagonista di tale storico episodio – era un’auto piccoletta, una vera battola con volante, la cui carrozzeria, essenziale ed estiva, si valeva di un’efficace e complicata rete di fili di ferro e corde che simulavano – qui e là – asimmetriche ragnatele, ma era vistosamente in guerra con tessuto, tela cerata e finestrini di celluloide.
Per il resto... non c’erano problemi. Un motore che... Insomma, meglio lasciar perdere… Tuttavia, Horacio sapeva maneggiare a menadito quell’esotico veicolo, che lui, con non dissimulato orgoglio, chiamava "il suo puledro".
Per modestia o per chissà quale altra causa, il nostro uomo aveva lasciato quel ciarpame semovente poco prima della meta. Scese, camminò alcuni metri ed entrò nel commissariato maledicendo tra i denti l’inverno in generale e quell’insopportabile notte dantesca. Aprì la porta di una specie di vestibolo ed entrò nell’ufficio del funzionario di guardia, come se fosse a casa sua.
Lì si trovava il suo amico Lara – che era montato a mezzanotte – con un giovane dattilografo, entrambi in ameni conversari, accanto a una confortevole stufa che dava all’ambiente un gradevole tepore.
“Buona notte, ragazzi!” vociò Suárez Lerma, togliendosi il cappotto. “Che notte! Che vento! Che freddo! Brrr...! Ti taglia a fette! E voi? Vili rosicchiatori di stipendio, invece di lavorare...”
“Ciao giornalaio...!” lo ricambiò Oscar Lara stringendogli la mano.
“Cosa racconti, vilissimo strillone? Come ti va?” esclamò il dattilografo, anche lui grande amico del giornalista.
“Dico, signor sguattero di commissariato, che sono più rattrappito del pennone di una nave... mi sente? E che se non mi fa servire immediatamente qualcosa di ben caldo la faccio espellere dal commissariato come una vecchia cianfrusaglia.”
“Continua pure a fare il galletto” commentò l’interpellato “e vedrei se non ti metto al fresco...”
“Senta lei, minuscolo progetto di ufficialucolo di polizia” lo interruppe il nuovo arrivato con eccessiva boria, “non si scordi, povero passacarte che sta parlando con il caporedattore della pagina di cronaca nera del miglior giornale del mondo...”
I coloriti rimbrotti minacciavano di andare per le lunghe. L’ufficiale Lara decise di mettervi fine e chiamò un caporale. Questi si presentò immediatamente facendo il saluto militare.
“Agli ordini” disse.
“Caporale Madariaga” sentenziò l’altro indicando il giornalista. “Vede questo giovane?”
“Sissignore.”
“Bene. Gli faccia servire immediatamente un mate ben caldo.”
Il sottoposto uscì all’istante e andò a mettere in pratica personalmente l’ordine ricevuto. Suárez Lerma ne approfittò per affermare:
“Così mi piace. È bene che entrambi capiate ciò che vi corrisponde; ma dal momento che sono solito pagare i miei lacché... Servitevi!”
E con un gesto autoritario che gli avrebbe invidiato lo stesso Luigi XV di Francia, offrì loro due raffinati sigari, vero tabacco cubano.
I due sorpresi destinatari accettarono i sigari sfregandosi gli occhi e guardandosi sbalorditi. Poi, constatata l’autenticità del prodotto, ripagarono il potente elargitore con varie riverenze e segni di inconfondibile considerazione e rispetto.
Poco dopo, però, il dattilografo si diede una manata sulla fronte e avvicinandosi al giovane giornalista gli disse:
“Ehi, ma sei una forza! Sicuro che hai appiccicato la tua auto a qualche disgraziato e per pagamento gli hai spremuto queste due meraviglie cubane! Non è vero? Complimenti, hai fatto un affarone!”
Tuttavia, intraprese subito una prudente ritirata perché sapeva benissimo che Horacio non ammetteva scherzi sul “suo puledro”.
Poco dopo, nella stanza attigua a quella dell’ufficiale di guardia, Oscar Lara e Suárez Lerma –quest’ultimo ancora intento ad assaporare il suo mate – stavano conversando della questione che, in una notte così ingrata, aveva condotto lì il cronista. Avevano appena terminato quando si sentì il trillo del telefono. L’ufficiale Lara si avvicinò all’apparecchio, sollevò la cornetta, se la portò all’orecchio e tra il funzionario di polizia e la persona che aveva chiamato ebbe iniziò il seguente dialogo, successivamente ricostruito dagli stessi interlocutori:
“Commissariato di Belgrano?”
“Sì, signore.”
“Con chi parlo?”
“Con l’ufficiale di guardia.”
“Bene, signore, ascolti: sono Juan Carlos Galván, le parlo dal mio domicilio, calle Arcos, all’angolo con Tierra... È per informarla che qui, a casa mia, sta succedendo qualcosa di serio... di molto grave... forse una disgrazia, insomma... non saprei.” [...]
Continua

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